CRACK

CRACK è un’opera d’arte partecipata ideata dall’architetto Andrea Martini nell’ambito del Festival della Conoscenza e della seconda edizione di Via della Narrazione. Quella del 2016 è un’edizione importante perché vuole commemorare i 40 anni dal terremoto che colpì il Friuli e in particolare la zona di Udine, da Maggio fino a Settembre con magnitudo 6.4 della scala Richter, era il 1976.

La città a questo disastro reagì energeticamente, i friulani per primi si rimboccarono le maniche e riuscirono a convertire il vuoto della perdita in pieno d’azione, diventando un esempio di efficienza, di forza e di coraggio riconosciuto da tutti in tutto il mondo.

CRACK è un monumento inteso come creazione di una stretta relazionale con il contesto e con le memorie del luogo, è un lavoro esperienziale, dinamico, che recupera l’accezione primitiva di rappresentanza, svicolato dalla tradizionale visione di monumento come posa del manufatto artistico prodotto in studio e riprodotto in scala monumentale sul suolo pubblico.
CRACK è una crepa di 100 metri lineari tracciata su pannelli e poggiata su via Cavour, che per l’occasione viene rinominata Via della Narrazione, lasciata nelle mani dell’agire collettivo per la durata del festival, prima di migrare simbolicamente nelle stanze di Casa Cavazzini, ricongiungendosi all’archivio nomade diTaramot.
In CRACK la crepa suggerisce l’immagine semiotica di una ferita aperta e insieme di un’unità che si divide, che genera un vuoto carico di tensione e bisognoso di cure. La sua realizzazione e il suo completamento sono affidati alle persone, ai cittadini, ai passanti invitati ad imprimere su questa crepa la loro storia, disegni, simboli che raccontino la storia dell’Orcolat, del terremoto.  L’esperienza collettiva che diventa conoscenza è la cura che rende questa ferita una cicatrice, una nuova unione e allo stesso tempo memoria indelebile.
L’opera viene quindi realizzata per, dal e con il pubblico, creata da una comunità che ne è il contenuto e allo stesso tempo l’autore, annulla la distanza tra artista e fruitore, colmando, ancora, un vuoto.
Come sul corpo per riparare una ferita interviene tutto l’organismo, allo stesso modo sull’installazione potrà intervenire chiunque. Come nella ricostruzione post sisma è stato prezioso il contributo di tutti, allo stesso modo sarà valorizzata l’opera nella sua valenza di vuoto e pieno contemporaneamente: l’opera è di tutti perché non è di nessuno.

E in questo momento storico di crisi, di fratture, di traumi sociali, culturali ma anche terresti, forse il fare insieme, il percepirsi nella diversità può essere la chiave per un nuovo modo di crescere.

L’ estremo atto di gentilezza e di rispetto compiuto 40 anni fa, nei confronti della città e del futuro dei suoi abitanti, questa cura nell’assicurare una crescita nonostante o forse proprio a causa del dolore, ci può ricordare una cosa che sembra non c’entri nulla: la tecnica giapponese del kintsugi.
Il kintsugi è una tecnica consiste nel riparare con l’oro o con metalli molto preziosi, degli oggetti in ceramica che si sono rotti. Questa tecnica si basa sul paradigma tutto orientale che concepisce le fratture come segni del tempo e che la valorizzazione di questi segni impreziosiscano l’oggetto rendendolo irriproducibile. Le crepe non sono tracce di morte ma tracce di vita. Questi oggetti si considerano vere e proprie opere d’arte poiché ogni pezzo riparato è unico ed irripetibile per via della casualità con cui la ceramica può frantumarsi e delle irregolari decorazioni che si formano con il metallo.

L’arte 40 anni fa è stata gentile con Udine, ma non è venuta da oriente bensì dall’America.
Nel 1976 lo scultore e pittore Carl Andre e Thomas B. Hess, editor di Art News e critico del New York Times, chiamano a raccolta finanzieri, politici, operatori del mondo dell’arte, artisti. Opere di Willem de Kooning, Roy Lichtenstein, Sol Le Witt, Donald Judd, Frank Stella, Lee Krasner, Horst P. Horst e altri vengono donate a sostegno della ricostruzione attraverso l’organizzazione FRIAM – Friuli Art and Monuments. Si decise di non venderle, per questo motivo esistono centotredici opere di artisti americani tra i maggiori esponenti dell’espressionismo astratto, del new dada, della Pop Art, conservate nel museo di Casa Cavazzini, rendendo questa sede un caso unico in Italia. Ed è proprio nel museo di Casa Cavazzini che si conclude la messa in opera di CRACK, nell’attimo in cui vengono issati i suoi pannelli lungo le mura del museo fino al terzo piano, all’altezza quindi della collezione FRIAM. In questo momento rituale si sancisce definitivamente l’unione di un corpo che è stato infranto. E questo senso, così espresso/impresso nella storia, ci ricorda che le cose buone possono fare cose incredibili, come unire destini spezzati, passato e presente, oriente e occidente.

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